Le
persone mi disgustano. Brulicano per la città con i loro vestiti a
poco prezzo, si portano appresso tupperware pieni di cibo scadente in
borse di plastica con stampati orribili cagnolini. Quando vado a fare
la spesa osservo cosa contengono i loro carrelli e il viso mi si
contorce in una smorfia: insaccati, piatti pronti surgelati,
polpettone precotto, formaggi grassi: cibo spazzatura per gente
spazzatura. Mangiano merda e si lamentano di strati e strati di adipe
di cui non riescono a liberarsi.
Imbottiti
di frasi fatte e sprovvisti di neuroni, sono morti dentro e non se ne
rendono conto, sopravvivono per alimentare la vita stereotipata fatta
di una casa, un lavoro a tempo indeterminato, matrimonio, figli,
pensione, morte. Quando scavi più a fondo, dietro alla facciata di
una vita stabile e perfetta trovi tradimenti, bugie, egoismo e
malcontento. Ma va tutto bene, finché lo stipendio arriva ogni mese,
finché tutto scorre in banale tranquillità, senza sorprese.
Pupazzi
ridicoli, sciatte casalinghe senza interessi, manager che portano
puttane nelle loro macchine aziendali mentre la moglie si imbottisce
di Xanax e menzogne. Loro che non hanno mai letto un libro
dall'inizio alla fine, che guardano il telegiornale e credono a
qualsiasi cosa il sistema sceglie di dirgli per rintronarli di
stronzate, che passano il sabato pomeriggio al centro commerciale e
comprano decorazioni di Natale fingendo di divertirsi alle riunioni
famigliari.
Mi
fanno tutti schifo.
Qualche
giorno fa ho incontrato il mio ex fidanzato Ruben. Non lo vedevo da
dieci anni e la cosa più utile che gli ho visto imparare durante la
nostra relazione è stato dosare l'alcool nelle giuste quantità per
preparare un ottimo Cuba libre. Stavo tornando a casa dopo una
giornata di lavoro particolarmente pesante e l'ho incrociato mentre
saliva le scale della metropolitana. Sentivo odore di sudore e pelle
non lavata e mi stavo guardando intorno per capire da dove provenisse
e invece di trovare il colpevole ho visto la sua faccia, solo che al
posto del vecchio sguardo da maschio stupido con la tessera dello
stadio in tasca aveva un penetrante occhio che sembrava vispo e
intelligente.
«Monica!
Sei proprio tu?» invece
che rispondere l'ho squadrato da capo a piedi, quello che aveva
addosso era un completo di Gucci?
«Non
ci posso credere! Quanto tempo, sei ancora splendida!»
e dicendolo mi ha preso la mano e l'ha baciata da perfetto
galantuomo, sfiorandola appena. Sembrava un'altra persona rispetto a
quella che avevo lasciato al culmine del mio fastidio per la sua
assoluta banalità.
Dopo
una raffica di parole e convenevoli inutili tipo cosa fai nella vita,
sei fidanzata, hai dei figli, che lavoro fai, una lista di banali
domande di circostanza, mi ha chiesto se volevo andare con lui a
prendere un aperitivo. Gli ho risposto che mi avrebbe fatto piacere,
volevo capire dove si era nascosto il ridicolo ragazzo che non
sopportavo più e come avesse fatto a lasciare il posto ad un uomo
carismatico e pieno di sé.
L'ex
fidanzato fallito, che sembrava essere diventato un vincente, mi ha
portata nel locale più costoso della città, uno di quelli dove devi
prenotare un tavolo una settimana prima per poterti sedere, ha fatto
un cenno alla ragazza all'ingresso, che sembrava conoscerlo, lei
sorridendo ci ha accompagnati nel privèe. Non sapevo nemmeno che lo
avessero, un privèe. Ha ordinato champagne e ha cominciato a farmi
un resoconto dettagliato della sua vita da quando l'ho lasciato. Per
un periodo ha lavorato come magazziniere in una importante compagnia
farmaceutica e lì ha conosciuto Carla, la bella e stupida figlia del
proprietario. Sapevo che non sarebbe mai arrivato da nessuna parte
con quell'unico neurone che aveva nel cervello. Ridendo mi ha
raccontato di come sia stato facile farsi sposare e di quanto
rapidamente era riuscito grazie a lei ad ottenere un posto
manageriale. Ed ecco spiegati i soldi, i vestiti di alta moda e
l'assurda, ostentata sicurezza che sembrava uscirgli da ogni poro.
Lui
spiegava, rideva e a volte mi lusingava con complimenti del tutto
incolori e banali. Osservavo i suoi denti sbiancati chimicamente e
sognavo di fracassarglieli con una vanga. Sorridevo, amabile e falsa,
mentre con quella forchetta che stava usando per mangiare il cibo del
ricco buffet volevo trapassargli la giugulare. La rabbia saliva ogni
minuto.
La
gente mi fa schifo, soprattutto quelli che ottengono risultati e in
realtà non si meritano niente.
Prima
di andarmene dal locale gli ho sussurrato all'orecchio:
«Rimarrai
sempre un perdente, anche con quella maschera di vittoria»
lui mi ha guardato senza parole e sono andata via.
Le
persone mi disgustano, tutte.
(ispirato al film American Psycho, tratto dall'omonimo libro di Bret Easton Ellis, capolavoro della letteratura moderna)
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